La filosofia orientale ci propone un’immagine molto interessante del nostro percorso di vita, che l’anima attraversa grazie al corpo fisico.
Noi siamo, dicono, un Calesse: questo mezzo rappresenta il nostro corpo fisico e viaggia su un sentiero che rappresenta la vita: il Cammino di Vita appunto.
Il sentiero percorso dal Calesse è una strada sterrata, e come ogni strada sterrata che si rispetti presenta buche, irregolarità, sassi, solchi e fossi ai lati. Le buche, le irregolarità e i sassi sono le difficoltà che incontriamo nel corso della vita; i solchi sono gli schemi già esistenti che riceviamo da altre persone e che riproduciamo più o meno coscientemente; i fossi rappresentano le regole, i limiti che non dobbiamo superare se non vogliamo avere un incidente.
A volte sul sentiero si presentano delle curve, o delle zone di foschia o di temporale: in tutti questi casi la visibilità è limitata. Sono quelle fasi della nostra vita in cui ci sentiamo persi, facciamo fatica a vedere chiaro il percorso davanti a noi.
Il Calesse è trainato da due cavalli: uno bianco (Yang) a sinistra e uno nero (Yin) a destra. Questi cavalli simboleggiano le emozioni, che sono la vera forza motrice della nostra vita. E’ inoltre dotato di quattro ruote, due anteriori (le braccia) che danno la direzione e due posteriori (le gambe) che portano e trasportano il carico. Questa immagine mi porta immediatamente alla mente l’arcano maggiore del Carro.
Il Calesse è guidato da un Cocchiere, che rappresenta la mente conscia, e all’interno trasporta un passeggero invisibile: si tratta del nostro Maestro o Guida interiore. A me piace chiamarlo Anima.
Il nostro Calesse personale avanza dunque sul cammino della vita, guidato in apparenza dal Cocchiere; dico in apparenza perché, in realtà, è il passeggero a indicare, e conoscere, la destinazione.
Il Cocchiere, la mente conscia, conduce il Calesse. Dalla qualità della sua guida e dal suo modo di indirizzare i cavalli dipenderà la qualità e la comodità del viaggio, che rappresenta nientemeno che la nostra esistenza. Se egli maltratterà i cavalli, le emozioni, sottoponendoli a stress, o trattandoli in modo eccessivamente severo, questi ad un certo punto si innervosiranno o imbizzarriranno e rischieranno di provocare un incidente, proprio come le nostre emozioni a volte ci inducono ad atti pericolosi.
Se il conducente è invece troppo rilassato, il Calesse entrerà nei solchi (possibile imitazione degli schemi parentali) e noi seguiremo quindi le tracce di altri, correndo il rischio di finire nel fosso, se questo è stato il loro percorso. Se il Cocchiere non è vigile non riuscirà ad evitare le buche o i sassi, e il viaggio sarà molto scomodo e fastidioso per tutti.
Se il Cocchiere si addormenta o non tiene le redini, saranno i cavalli, quindi le emozioni, a condurre il Calesse.
Talvolta il Calesse può incorrere in guasti (malattie), o perché un pezzo era poco resistente oppure perché ha dovuto affrontare troppe buche (accumulo di comportamenti e atteggiamenti inadeguati); bisognerà quindi riparare il danno (riposo, cure mediche, ecc.), ma sarà fondamentale riflettere sulla condotta del Cocchiere e comprendere come cambiare quei comportamenti che hanno provocato il guasto, in modo che non si ripresenti.
Quando il Calesse attraversa zone di scarsa visibilità, può accadere di dover rallentare e avere fiducia nel percorso indicato dal passeggero, il nostro Maestro interiore. Talvolta giungiamo a incroci, bivi: se il sentiero non è munito di segnaletica, non sappiamo quale direzione prendere. Il Cocchiere, la mente, può prendere una direzione a caso, ma il rischio di sbagliare o perdersi è elevato. Quanto più il Cocchiere è sicuro di sé, convinto di sapere tutto, tanto più il rischio sarà grande. Se invece è umile e onesto con sé stesso, chiederà consiglio al passeggero, dato che quest’ultimo sa dove sta andando, conosce la destinazione finale. Potrà quindi indicarla al Cocchiere, che la imboccherà se sarà stato capace di ascoltare la risposta. Infatti, qualche volta il Calesse fa molto rumore, ed è necessario fermarsi per dialogare con il Maestro interiore: sono le pause che ci servono per ritrovare noi stessi, quando ci accade di perderci.
Trovo questa metafora molto utile e azzeccata per descrivere il Cammino di Vita, ma soprattutto il rapporto tra mente cosciente e Anima: molto spesso, immersi in questo mondo tridimensionale, dimentichiamo di essere esseri spirituali che stanno facendo un’esperienza umana, e ci identifichiamo completamente in ciò che è visibile, dimenticando il passeggero. Ma è lui a conoscere la strada, la direzione, il nostro scopo di vita… E se non seguiamo le sue indicazioni il rischio di girare a vuoto, e vivere una vita priva di significato, è altissimo.